Ma i romanzi invecchiano?
«Ricolmo di umana fierezza e accecato dallo spirito presuntuoso di questo tempo, a lungo ho cercato di tenere lontano da me quell’altro spirito. Ma non consideravo che lo spirito del profondo, da tempo immemorabile e per ogni avvenire, possiede un potere più grande dello spirito di questo tempo, che muta con le generazioni»
Carl Gustav Jung, Liber Novus
Il Libro Rosso di Jung è stato definito “un saggio di esplorazione psicologica in forma letteraria”. Vorrei partire proprio da questo testo per analizzare la questione dell'invecchiamento dei romanzi e, lo dichiaro già adesso, asserire che per i fini della lettura libroterapica questa non ha alcuna importanza.
Ad aprile ho letto un articolo del Post a firma di Vincenzo Latronico la cui citazione iniziale mi ha molto colpita: «La rapidità del cambiamento tecnologico minaccia il territorio del romanzesco, che è definito dai confini del mistero: un viaggiatore si smarrisce; appare in città un visitatore misterioso; due amanti sono separati da una distanza incolmabile. Ma il senso della tecnologia di oggi è far ritrovare chi si smarrisce, disperdere i misteri, colmare le distanze. Quindi il romanzesco cerca territori al di fuori della contemporaneità. Forse non è un caso se ultimamente la narrativa sembra guardare all’indietro».
Per me la questione chiarisce come lo Spirito del Tempo ci chieda di interessarci di fattori di contesto collettivo e di perdere di vista invece il senso profondo che la lettura ci può regalare. Ma cosa sono questi due spiriti? Possiamo considerarli come due energie, due istanze che interrogano l'umano. Lo Spirito del Tempo ci chiede di concentrarci su cose «utili e che valgono» scrive Jung, ovvero sulle tendenze culturali del tempo in cui viviamo. Ci indica tematiche di interesse collettivo. Se vogliamo pensare a chi scrive, potremmo dire che è lo Spirito del Tempo a "suggerire" quale forma dare alla storia che per l'autore o l'autrice è un modo di rispondere alla sua domanda interna (o alle sue domande interne).
Prendiamo un curioso evento letterario che anni fa mi aveva raccontato Fabio Stassi (e che è finito anche nella sua prefazione al mio primo libro, Trame archetipiche che sta per uscire in una nuova edizione). «Nel 1953, senza sapere nulla l’una dell’altro, Anna Maria Ortese e João Guimarães Rosa avevano scritto lo stesso racconto: la vicenda di due bambini molto miopi e molto poveri. La prima ha nome Eugenia e vive nei bassi di Napoli; il secondo, Miguilim, abita invece nella desolazione del Nordest brasiliano. A entrambi una zia e un dottore regaleranno un paio di occhiali, attraverso i quali i due bambini metteranno a fuoco per la prima volta la miseria che li circonda. La loro reazione sarà di disgusto e di commozione insieme». Potremmo dire che entrambi gli autori hanno sentito di rispondere nello stesso modo ad una tematica che evidentemente li ha coinvolti. Lo Spirito del Tempo ha fatto scrivere due racconti "situati" in due contesti diversi, ma se guardiamo alla sincronicità delle due scrittura, possiamo rintracciare il lavoro di una seconda energia. È lo Spirito del Profondo che interroga sulla meraviglia e sul disgusto di vedere per la prima volta chiaramente e di riconoscere intorno a sé la miseria e la desolazione.
Lo Spirito del Profondo viene così descritto da Jung: «Mi ha costretto a calarmi nelle cose ultime e più semplici. Lo spirito del profondo mi ha tolto la ragione e tutte le mie conoscenze, per porle al servizio dell’inesplicabile e del paradossale. Mi ha privato del linguaggio e della scrittura per tutto ciò che non stava al servizio di quest’unica cosa, ossia dell’intima fusione di senso e non senso che produce il senso superiore».
Ci chiede di occuparci del senso e quello, fortunatamente per noi, non invecchia e non passa mai di moda. Questo il motivo per cui alcune scritture, come i miti, non ci sembrano mai desueti, o meglio, non perdono la loro forza pur narrando cose avvenute in un tempo lontano o mai avvenute.
Le due istanze Tempo e Profondo sono complementari e a nessuna delle due possiamo rinunciare del tutto. Nella lettura libroterapica, che si interessa a come il senso contenuto nella storia porta il lettore a leggere se stesso, lo Spirito del Tempo perde di potenza, limitandosi ad una marginale azione sul gusto letterario.
Per questo un buon romanzo non vede diminuire il suo valore libroterapico col tempo, nemmeno se usciranno decine di altre storie sullo stesso tema e nemmeno se il collettivo gli preferirà storie più vicine allo Spirito del Tempo.
Ho passato diversi mesi a frugare sui cataloghi delle biblioteche e sul web per cercare narrazioni che non fossero divenute "classici" e che, pur avendo molto da dirci sul nostro profondo, fossero state messe in disparte sugli scaffali. Da questa ricerca nasce l'idea del Laboratorio Voci da Riscopire che avrà una edizione dal vivo a Peccioli, in una delle mie biblioteche del cuore, ed una online.
Per te che hai letto questo post fin qui, ecco una minibibliografia, solo un assaggio, due letture che potrebbero essere proposte nel Laboratorio (il condizionale non è per aumentare la suspence ma perché sono solita scegliere le letture da proporre quando conosco il gruppo di persone che compongono il Laboratorio):
Giuseppe Berto Oh Serafina!
Gina Lagorio Càpita
E tu quali testi inseriresti tra le voci da riscoprire?
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