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Immagine del redattoreRachele

"Il segreto" di Nadia Terranova e Mara Cerri


Inizio con una confessione: ho paura degli animali antropomorfi, cioè sono spaventata dalle rappresentazioni di animali umanizzati, che siano in piedi, magari vestiti, con la testa da animale e il corpo pseudoumano o comunque in atteggiamento umano e non ferino. Per questa ragione l’albo La foresta dei mostri selvaggi è stato uno più difficili da leggere (ma questo con gli albi capita spesso, cioè di trovare una rappresentazione delle proprie paure) e la versione cinematografica mi ha regalato incubi (o grandi sogni, non saprei dire bene il confine in questo caso) per mesi.


Perché lo racconto? Perché ad un certo punto ho ordinato il libro Il segreto scritto da Nadia Terranova ed illustrato da Mara Cerri. L’ho preso perché nelle narrazioni di Nadia Terranova trovo spesso risonanze potenti (anche quando le storie apparentemente sono distanti anni luce dalla mia esperienza di vita) e quindi ero molto curiosa di questo lavoro di cui avevo sentito parlare benissimo. Mentre aspettavo che il libro arrivasse (spesso tra il desiderio di un testo e il poterlo sfogliare si interpone per me un tempo di attesa) ho avuto una conversazione online con Sara, che senza sapere che lo avevo già ordinato mi avvertiva, conoscendo i miei gusti ed anche le mie fobie, che se avessi deciso di leggerlo mi sarei imbattuta in illustrazioni che potevano impressionarmi e mi suggeriva, casomai, di saltarne qualcuna. Perché era indubbio che fossero belle e suggestive, ma per me potevano essere “attivanti”.


Il libro è arrivato ed ho iniziato a leggerlo. E sì, le illustrazioni, grazie anche al loro stile onirico, mi sono arrivate con potenza, ma non ne ho saltata nessuna, mi sembrava che suggerissero colore e atmosfera perfetti per la storia.


La storia è di una forza prorompente: se la trama ci porta in una situazione nota alla letteratura (e che io trovo necessaria per ragazze e ragazzi anche in giovane età), quella della perdita dei genitori e dell’affido ad una figura affettiva altra e diversa, in questa storia sono seminati tanti piccoli gioielli simbolici.


Intanto un chiarimento: è necessario e benefico confrontarsi con la mancanza della coppia genitoriale non per chissà quale voyeurismo o amore per il dramma, ma perché insegna alle ragazze e ai ragazzi a confidare nella loro capacità di essere individui a prescindere dalla presenza dei genitori. È l’affermazione della possibilità di diventare grandi anche senza aiuto. O, nel caso della storia di Adele, attraversando una soglia che la presenza della nonna facilita: uscendo dalla realtà come crudamente appare nel suo pragmatismo e cercando ciò che nasconde, fuor di metafora i significati profondi, la capacità di guardare negli abissi interiori e di affidarsi alle forze oscure dell’inconscio (e non solo).


Non voglio raccontare la storia, sono convinta che ognuno debba poterla scoprire leggendo, ma ci tengo a raccontare perché in questa storia io mi sono sentita a casa.


Innanzitutto ne so qualcosa di nonne un po’ streghe ed un po’ sirene: ho avuto la fortuna di conoscere tre bisnonne ed entrambe le nonne. E ce n’era davvero per tutti i gusti: tra quelle che vantavano medicastri in famiglia e quindi sotto sotto anche qualche potere magico a quelle decisamente sirene, a quelle capaci di curare proprio tutto o almeno di somministrare erbe ed infusi con molta convinzione, a quelle che in cucina erano vere e proprie streghe al calderone. E questo femminile così ampio è stato bellissimo e mi è tornato in mente grazie a nonna Adele.


Potrei dire la mia anche sul non sentirsi del tutto come gli altri: ho ancora in mente mamma che in bagno spiega ad una piccola me di poco più di sei anni che va bene anche se non mi fa ridere quello per cui tutti ridono, che in fondo essere diversi è una ricchezza e che ognuno è un po’ differente a modo suo {poi chiediamoci come mai qualche anno dopo in piena adolescenza ero in fissa con Le fantasticherie del passeggiatore solitario di Jean-Jacques Rousseau che scrive: «Io solo. Sento il mio cuore e conosco gli uomini. Non sono fatto come nessuno di quelli che ho incontrati; oso credere di non essere come nessuno di quanti esistono. Se non valgo di più, sono almeno diverso»}. Comunque sia la diversità di Adele l’ho conosciuta in me ed anche in tantə compagnə nell’arco degli anni. E dopo, anche fuori dalle aule scolastiche.


Mi sono sentita a casa tra i peli lasciati in giro dai gatti della storia, perché i gatti sono grandi compagni di viaggio. Ed anche i riferimenti alla Luna e la magia sottile che percorre tutta la storia hanno solleticato parti importanti di me.

La storia propone archetipi significativi (Grande Madre, Persona, Ombra, Eroe, tanto per dirne alcuni) e ci consente di riflettere sul diventare noi stessi così caro a Jung e su cui dovremmo soffermarci spesso nel corso della nostra vita. Per questo, se non per tutto ciò che ho scritto fino qui, la considero una storia necessaria.


La mia citazione preferita (anche se ho sottolineato tante frasi che mi fanno vibrare):


«Ho deciso di inventare storie perché so che spesso è faticoso accettare la realtà. I suoi confini sono stretti, i suoi contorni asfittici. Non possiamo avere tutto quello che vogliamo, ma non possiamo neanche farci bastare solo quello che abbiamo. A volte restiamo imprigionati in ricordo sospeso, in una possibilità che non si è concretizzata, sulla soglia di una dimensione che non possiamo più varcare: è allora che dobbiamo osare e sognare più forte»

Fammi sapere nei commenti se ha fatto sentire a casa anche te.



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